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Quattro amici, quattro talenti: Charlie il pittore, Max il chitarrista, Paco il fotografo e infine Wolf, il magico poeta, in un romanzo che li vede in viaggio dalla Spagna all’Olanda, e li osserva nella loro crescita nell’ambiente domestico, e per finire in una specie di Woodstock organizzata, a quanto pare, per esprimere e dimostrare i loro talenti, soprattutto quello di Wolf, che cade come in trance sotto gli occhi estasiati di migliaia di partecipanti a questo singolare happening. Ma cosa rende il singolare talento di questi ragazzi ancora più unico ed elevato? Dalla lettura sembrerebbe derivare dall’uso sconsiderato che fanno di ogni tipo di droghe, oltre al fatto di essere innato. Insomma una specie di libro psichedelico, molto “anni settanta”, ovvero ci si droga, soprattutto con droghe di sintesi o potenti allucinogeni, e da questi “viaggi” si ritorna in grado di comporre opere d’arte assolutamente ineguagliabili. Ma pur volendo essere un romanzo psichedelico e vagamente bohemien, verso la fine, i quattro super-artisti diventano notevolmente ricchi, quindi, partendo da un concetto di arte al di sopra di tutto, arte pura e dettata dall’anima, si giunge ad una borghesificazione, una mercificazione della medesima che lascia un po’ di stucco. Ma tutto il romanzo, a mio avviso, scricchiola un po’, ci sono tante ripetizioni, di parole e di concetti, e vi si respira questa morbosa atmosfera “new age” di anime che si staccano, corpi che si librano, e che non riesce a risollevare tutta la storia quando questa pare affannarsi in alcuni passaggi. Per fortuna ci sono anche pagine molto belle, soprattutto quelle in cui i quattro amici vanno in giro con la voglia di divertirsi, o quelle in cui si racconta della distruzione del grande sogno di quello tra loro che ama nuotare, finché un incidente lo priverà di questo piacere. Ma queste debolezze sono comprensibili essendo l’opera prima pubblicata a 22 anni da quel Pietro Grossi che già con la sua seconda opera ha fatto un notevole passo avanti per poi confermarsi bravissimo scrittore col suo terzo libro: “L’acchito”.
Questo “Touché” ci appare come una bella prova generale, prima del debutto vero, una di quelle opere che lo scrittore ha pensato per i lunghi anni della sua adolescenza, scritto – bene, a tratti molto bene – caricandolo di tutti i sogni e le attese di un adolescente. Nella storia non mancano alcune ingenuità, tipo il finale, ma già si nota il talento dell’autore nel tratteggiare i caratteri dei personaggi e a creare situazioni ed ambienti molto evocativi; insomma il talento già aveva fatto capolino, andava un pochino lavorato, e se guardiamo a dove è già arrivato il giovane autore possiamo tranquillamente affermare che ha saputo crescere, e molto bene.

 Maria Musik - 07/07/2008 19:28:00 [ leggi altri commenti di Maria Musik » ]

Ricordo che fra i sedici ed i diciotto anni amavo le atmosfere on the road, tutte fragole e sangue. Ma eravamo fra gli anni ’70 e gli anni ’80 ed ero adolescente. Già a venti anni mi annoiavano queste atmosfere visto che scrivevo poesie dall’età di sei anni e senza dare neanche una tirata di canna.
Malgrado la stima per chi si cimenta credo che aspetterò che l’autore cresca ancora un poco per leggere un suo libro.

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